PERCHE' LA DIPLOMAZIA NON SCOMPARIRA' MAI

di Stefano Baldi

 

Presentato al TEDx Bari (Italia) su “Resilienza” 3 ottobre 2015

 

 

 

 

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INTRODUZIONE

 

Io sono un diplomatico di carriera e, dopo tante esperienze all’estero, sono stato chiamato quattro anni fa a svolgere una straordinaria attività: formare i giovani diplomatici che entrano al Ministero dopo aver superato il concorso.

 

A proposito diplomatici, mi fa molto piacere di essere qui a Bari, in Puglia, una regione da cui provengono numerosi diplomatici, anche tra le nuove generazioni.

 

Formare i giovani colleghi è stata per me una grande esperienza, perché mi ha dato l’opportunità di condividere con loro i miei quasi trenta anni di vita diplomatica. E’ una sfida importante perché il mio compito è far sì che siano preparati per la loro futura attività professionale. Un’ attività che svolgeranno per i prossimi trenta/quaranta anni e che li vedrà operare in condizioni sicuramente diverse da quelle che ho conosciuto io e da quelle che hanno conosciuto i nostri predecessori.

 

A questo punto vi chiederete che cosa ha a che fare la diplomazia con la resilienza, il tema di questo TEDx sul quale abbiamo già ascoltato alcuni stimolanti interventi. Potrei sbrigativamente rispondervi con una classica e popolare citazione secondo la quale “la diplomazia è la seconda più antica professione del mondo”. Lascio alla vostra immaginazione quale è la prima ……..

In realtà la resilienza dei diplomatici è sempre stata basata sulla loro costante capacità di adattarsi alle mutevoli circostanze ed ambienti.

 

 

Ma oggi che viviamo in un modo fatto di così rapidi cambiamenti, si pone più che mai la questione - particolarmente cara ai giovani colleghi che devo formare - se “i diplomatici continueranno ad esistere anche in futuro?” “Scomparirà mai la diplomazia?”

Sono domande non nuove e quello che vorrei mostrarvi oggi è come vi sono stati già casi nella storia recente in cui il futuro ed il ruolo della diplomazia sono stati messi in seria discussione.

 

 

CITAZIONI

 

Allora iniziamo un breve viaggio fra le profezie sbagliate sulla fine della diplomazia.

 

Il primo esempio di profezia sbagliata che vi voglio mostrare è questa esclamazione

 

Mio Dio, questa è la fine della diplomazia!”

 

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fatta dall’allora Ministro degli esteri inglese Lord Palmerston, quando, intorno al 1860 ricevette il primo telegramma

 

Più chiaro di così!

 

Immaginate Lord Palmerston con il telegramma in mano intento a pensare a quanti e quali cambiamenti questo nuovo strumento di comunicazione avrebbe comportato. [D’altra parte il telegrafo fu veramente una rivoluzione tecnologica nei mezzi di comunicazione del tempo].

Lord Palmerston fu a capo della politica estera britannica in un periodo in cui la Gran Bretagna era al massimo splendore e conosceva molto bene tutta la macchina burocratica che dirigeva.

Ma perché ebbe una reazione così forte?

 

Probabilmente perché l’invenzione del telegrafo andava direttamente ad influire su una di quelle che sono le attività classiche dei diplomatici: lo scrivere analisi e rapporti.

 

Allora facciamo un altro piccolo passo indietro nella storia fino ad arrivare al XVI secolo quando gli Ambasciatori veneziani mandati a rappresentare la Repubblica di Venezia in alcuni Stati esteri, scrivevamo le cosiddette “Relazioni”.

 

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Questa volta immaginate di trovarvi nel 1560 come Ambasciatore della Repubblica di Venezia presso la Corte di Filippo II di Spagna (direi niente male come sede…).

Questa è la prima pagina (uno sorta di indice) del rapporto inviato da Michel Soriano che descrive la situazione politica,  militare, economica e sociale del Paese.

 

Per secoli questa attività di analisi è stata un quasi monopolio o oligopolio degli Ambasciatori inviati all’estero a rappresentare i propri Paesi. Lord Palmerston aveva probabilmente percepito che l’invenzione di uno straordinario strumento di comunicazione come il telegrafo, avrebbe radicalmente cambiato di questa situazione. Da qui la sua reazione

 

Ma questa essenziale attività di “Reporting”, svolta dai diplomatici, è stata messa in discussione anche più recentemente.

 

Ecco quello che affermava una quarantina di anni fa, negli anni ’70, Pierre Trudeau, allora Ministro degli Affari esteri del Canada:

 

 

 

Potrei rimpiazzare l’intero Ministero degli Affari esteri con un abbonamento al New York Times

 

 

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Certo che un’affermazione del genere fatta dal proprio ministro, non deve avere rassicurato o incoraggiato i colleghi canadesi del tempo …..

 

In realtà il lavoro svolto dai giornalisti e dai diplomatici, pur incrociandosi in alcune occasioni, è molto diverso sia per quel che riguarda gli interessi in gioco sia per quel che riguarda la sensibilità e la prospettiva con cui si affrontano le situazioni.

Purtroppo sappiamo bene che in un mondo che va così veloce, quello che conta è spesso solo ciò che raggiunge la prima pagina. Il resto viene rapidamente dimenticato. I diplomatici sanno bene che bisogna lavorare sodo affinché le situazioni critiche NON arrivino in prima pagina, ma vengano prevenute o risolte prima che si trasformino in crisi.

E vi posso assicurare che molto di questo lavoro fuori dai riflettori, paziente, fatto di relazioni umane, di rapporti fra persone faticosamente costruiti, occupa molto del nostro tempo lavorativo.

 

 

Ma passiamo ora ad un altro esempio di resilienza collegato alle attività diplomatiche. Anche in questo caso mi riferirò ad un’altra classica attività comunemente associata con il mondo diplomatico: il PROTOCOLLO o il CERIMONIALE.

 

 

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Quanti voi, quando sentono parlare di diplomatici, di ambasciatori, pensano immediatamente ad una situazione conviviale?

 

Effettivamente le cerimonie ufficiali, i cocktail e tanti altri tipi di attività sociale sono spesso percepite come l’attività principale svolta da un diplomatico.

Questo è sbagliato, oggi più che mai, ma ciò non toglie che per ogni diplomatico le attività sociali sono particolarmente importanti per svolgere bene il proprio lavoro. Il “ Networking”, o la costruzione di reti, come oggi viene definita tale attività, è essenziale per poter rappresentare il proprio Paese all’estero.

 

Ebbene anche questa attività tipica del diplomatico è stata messa in discussione in passato.

 

Ecco che cosa affermava un grande attore e scrittore a metà degli anni ‘50.

 

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“Un diplomatico, oggi, è niente più di un capo cameriere al quale è permesso, ogni tanto, di sedersi a tavola.”

 

Sir Peter Ustinov era anche un grande umorista e questa è la sua lettura, la sua interpretazione dei cambiamenti che hanno effettivamente interessato le relazioni internazionali.

 

Oggi i Primi Ministri, i Ministri degli Affari esteri si incontrano spesso di persona e possono parlarsi direttamente senza il bisogno di intermediari. Quindi il ruolo degli Ambasciatori e dei diplomatici è notevolmente cambiato. Ma se guardate attentamente, voi noterete che in ogni importante riunione o evento internazionale (bilaterale o multilaterale), gli Ambasciatori o i consiglieri diplomatici sono sempre discretamente vicino al Ministro per assisterlo.

 

La ragione è molto semplice e non è cambiata nei secoli: i diplomatici sono coloro che preparano gli incontri e sono anche coloro che saranno chiamati ad assicurare i seguiti delle decisioni che verranno prese al massimo livello….

 

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Credo che questo fotografia sia eloquente. Si tratta dell’Amb. Egidio Ortona, uno degli Ambasciatori italiani più famosi, nel 1961 alle Nazioni Unite che parla discretamente (si direbbe sussurra) a Gaetano Martino (ex Ministro degli esteri) che ascolta attentamente i suggerimenti dell’Ambasciatore. Credo che questo sia uno di quei casi in cui una foto spiega più di mille parole…………

 

A proposito di Nazioni Unite lasciatemi fare una piccola notazione personale. Io ho un legame particolare con questa organizzazione visto che una parte importante della mia carriera (8 anni) l’ho trascorsa rappresentando l’Italia in vari organismi ONU a Ginevra e a New York.

Ho passato giorni e giorni in interminabili discussioni su singole frasi o parole da inserire o da cancellare in risoluzioni o altri documenti ufficiali che sembrano uguali di anno in anno.

Purtroppo spesso l’accento viene posto dai media e dall’opinione pubblica sul fatto che queste grandi organizzazioni, con tutti i loro meccanismi e organismi, non riescono ad impedire il nuovo insorgere di crisi o conflitti.

Sulla base della mia esperienza, vi posso invece testimoniare che proprio grazie ad un lavoro apparentemente ripetitivo e quasi rituale, sono stati evitati tanti altri conflitti, attraverso un’attività  di prevenzione che difficilmente emerge nelle pagine dei giornali.

Quando penso a tutte le vite che sono state salvate con questa attività poco nota, mi sento orgoglioso, come diplomatico, di aver dato il mio piccolo contributo!

 

 

 

CONCLUSIONI

 

Per concludere vorrei utilizzare un’ultima citazione per spiegare come l’attività dei diplomatici si adatta continuamente ai cambiamenti che si presentano. E’ una citazione che mette insieme due elementi a me molto cari. La diplomazia, vale a dire il mio lavoro, e il Jazz, la mia musica preferita.

 

Richard Holbrooke, ex vice Segretario di Stato degli Stati Uniti e Rappresentante permanente degli Stati Uniti alle Nazioni Unite ha detto:

 

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La diplomazia è come il Jazz. Un’improvvisazione su un tema.

 

 

Penso che si tratti di una strordinaria definizione che sintetizza perfettamente quelle che sono le capacità e le competenze che un buon diplomatico deve avere. Come avviene nel Jazz, per avere un buon risultato finale nell’improvvisazione bisogna conoscere molto bene il tema originale e poi per improvvisare, bisogna avere acquisito grandi capacità tecniche attraverso l’esperienza e la creatività. Il talento da solo non basta!

 

 

I diplomatici possiedono queste capacità e questo aiuta a comprendere perché, nonostante le numerose Cassandre, tutte le profezie relative alla fine della diplomazia e dei diplomatici, sono sempre state e continueranno ad essere sbagliate.

 

Il ruolo dei diplomatici nelle relazioni internazionali è molto cambiato, ma è più rilevante che mai. Probabilmente meno visibile che in passato, ma certamente sempre essenziale.

 

 

Grazie!

 

 

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