SPECIALE LIBRI A NEW YORK /
L’ambasciator porta penna
di Stefano Vaccara
Ambasciator non porta pena... però la penna la porta, eccome la
usa! All’Istituto Italiano di Cultura di New York, lunedì 17
luglio, è stato presentato il libro La penna del diplomatico: I
libri scritti dai diplomatici italiani dal dopoguerra ad oggi
(Franco Angeli, 2006). Stefano Baldi e Pasquale Baldocci, entrambi
diplomatici di carriera - ma di diversa generazione - hanno raccolto
670 titoli che 180 colleghi hanno pubblicato dal 1946 ad oggi. Opere
di vario genere, dai saggi storici e politici (genere che vede
l’ambasciatore Sergio Romano battere tutti i record di prolificità),
a libri di poesia, narrativa e persino teatro (ben 44 opere
pubblicate).
Con il direttore dell’Istituto Claudio Angelini, a presentare
il libro c’erano anche uno degli autori, Stefano Baldi - che
presta servizio presso la missione diplomatica d’Italia alle
Nazioni Unite - e il giornalista Arturo Zampaglione - corrispondente
di "Repubblica" da New York e figlio di Gerardo, ex
ambasciatore italiano presente nel libro come uno degli autori tra i
più prolifici. L’ambasciatore d’Italia presso l’Onu Marcello
Spatafora, impegnatissimo in una riunione al Palazzo di Vetro per la
crisi in Medio Oriente, è arrivato alla fine, ma in tempo per
esprimere una precisa opinione sul libro e soprattutto su quanto sia
importante che i diplomatici di carriera continuino a scrivere e
sempre di più.
I 670 libri analizzati nella ricerca di Baldi e Baldocci (quella
presentata è la seconda edizione, pubblicata sotto l’egida
dall’Istituto Diplomatico "Mario Toscano"; esiste anche
un website, http:/baldi.diplomacy.edu/diplo in cui si aggiorna la
lista di autori in base alle ultime segnalazioni pervenute) sono
stati raggruppati in 9 categorie: memorie e ricordi, saggi storici,
saggi di politica internazionale, saggi sull’emigrazione, saggi
economici, saggi giuridici, romanzi, poesia e teatro, altri saggi.
La maggioranza dei libri, come era prevedibile, si concentra nelle
prime tre categorie, quelle più vicine al tipo di lavoro svolto e
alla preparazione culturale del diplomatico di carriera.
Per il diplomatico, almeno fino a quando ancora in servizio, non
è facile pubblicare un libro. Come ha fatto notare Claudio Angelini,
nell’appendice del libro viene pubblicata la normativa del
Ministero degli Esteri sulla pubblicazione dei testi, in cui viene
chiaramente sottolineato come occorra ottenere "la preventiva
autorizzazione del Ministero per pubblicare scritti.. che abbiano
attinenza con le relazioni internazionali".
Presentando il suo libro, anche Baldi ha sottolineato le
difficoltà che un diplomatico, impegnato nello scrivere
continuamente per lavoro, trova per coltivare la scrittura per altri
interessi. Baldi ha sfornato, correlando il tutto con efficaci
grafici, i principali numeri della ricerca: tra i 670 titoli (ma ora
sarebbero già oltre 700), 70 sono stati pubblicati in lingua
straniera. Solo l’8% per cento dei diplomatici della Repubblica
italiana ha pubblicato almeno un libro, in media un autore del Corpo
Diplomatico scrive 3 libri. Come detto prima, Sergio Romano, ora
editorialista del Corriere dell Sera ma già amabsciatore a Mosca e
alla Nato, è di gran lunga il più prolifico, con ben 62 titoli.
Dietro di lui ben staccato c’è Massimo Baistrocchi, ne ha
pubblicati "solo" 26.
Arturo Zampaglione ha fatto notare che dal 1980 ad oggi, solo 25
libri pubblicati da diplomatici italiani sono stati tradotti. "Perché?
Temi di politica estera da leggere solo in italiano... E come mai
non sono di più i diplomatici a scrivere", si è chiesto
Zampaglione, "soprattutto nella sezione di memorialistica?"
Zampaglione trova il motivo nel regolamento vessatorio, ma anche nei
condizionamenti politici che il diplomatico italiano subirebbe.
Dal pubblico, subito una domanda maliziosa: tra tutti i testi
menzionati, quanti sarebbe stato meglio non pubblicare? "Sia io
che Baldocci ci siamo guardati dall’esprimere giudizi" ha
risposto l’autore presente, non era a quanto pare il compito della
loro ricerca, vista invece più come uno strumento per segnalare
testi che potrebbero aiutare i giovani a capire meglio questa
professione prima di intraprenderla.
Il console generale Antonio Baldini, in sala alla presentazione
del libro così come tanti altri colleghi e consorti, ha osservato
che se forse non sono tantissimi i diplomatici che hanno pubblicato
un libro, sicuramente lui ne conosce pochissimi che non si siano
cimentati sui giornali. "Anche io avrei voluto scrivere un
libro, e ne avevo da scrivere dopo la mia permanenza in Libano
durante la guerra civile... ma dal ministero mi fecero capire che
non era una buona idea... allora non capii, ma poi mi resi conto. Si
corre il rischio di mettersi al centro di polemiche come accade con
i magistrati."
L’ambasciatore Spatafora, che ha definito l’autore Stefano
Baldi, suo collaboratore alla missione Onu, appartenente ad "una
razza di animale diplomatico che temo sia in estinzione", ha
sottolineato i meriti di una ricerca del genere e di tutti i
diplomatici che si cimentano nello scrivere, "perché non è
tempo perso dal loro lavoro, anzi". Infatti per Spatafora,
"leggendo questo libro, ci si accorge che il mondo che i
diplomatici possono offrire, è un prisma supplementare, una lente
in più per poter interpretarlo... Senza questi libri, il
diplomatico apparirebbe al momento della pensione come rammollito,
invece scrivendo pubblicazioni scopriamo che c’é di più e di
diverso, che il diplomatico non è solo un osservatore ma anche un
attore protagonista". Spatafora ha continuato: "C’é chi
pensa che la figura del diplomatico sia obsoleta, invece egli ha
sempre più importanza. E il suo scrivere dopo la carriera, sarà
determinante per lasciare una testimonianza di quello che è
successo". Ha continuato Spatafora: "Nell’era in cui nel
nostro lavoro si usa sempre più l’internet, gli email, ecco mi
chiedo cosa andrà mai a finire negli archivi, cosa rimarrà di
certi passaggi che una volta erano i documenti per aiutare a
scrivere la storia. Ecco allora che quello che scrivono e
scriveranno i diplomatici nei loro libri servirà sempre di più".
L’ambasciatore italiano all’Onu, al quale era stato chiesto se
pensa di scrivere le sue memorie, soprattutto di questi anni
all’Onu, ha poi concluso: "Per quanto riguarda me potrei
scrivere anche degli anni in Libano, quando si incontra Arafat alle
tre del mattino... Eppure no, dopo non credo scriverò un libro,
certe cose interessanti andrebbero scritte ora, in questo momento
servirebbe di più..."
Un epilogo alla domanda sulle motivazioni: ma perché dovrebbero
scrivere i diplomatici?
"Principalmente per dare un contributo con un
approfondimento analitico di certi temi". Ha detto Arturo
Zampaglione. "E’ positivo che ci sia anche il loro punto di
vista, che partecipino anche loro al dibattito sui temi della
politica estera".
"Comunque non dovremmo scrivere ‘istant book’, non siamo
dei Bruno Vespa", ha risposto Baldi, che ha aggiunto: "Io
credo che alla fine della carriera non debba essere un obbligo
scrivere, ma un piacere per poter condividere con i più giovani
quello che si è fatto".
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