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Vi sono molte ragioni, tutte legittime, per non amare Malaparte uomo, scrittore e personaggio. Ma nessuna, a nostro avviso, per negargli un posto di primo piano tra gli interpreti più singolari di un Ventesimo secolo le cui inquietudini si prolungano nel nostro. Questo « maledetto toscano » di respiro autenticamente internazionale (e non solo europeo, ché l’Europa dopo il 1945 gli andava stretta) rappresenta infatti un paradigma non eludibile dell’intellettuale contemporaneo, un modello che molti dopo di lui hanno cercato (e cercano) di imitare senza riuscire ad uguagliare il suo stile, la sua algida presenza, e naturalmente il suo talento. E’ giunto ormai il momento, a oltre centodieci anni dalla nascita e più di cinquanta dalla morte, di sgombrare il campo dagli stereotipi che, complice in buona misura l’interessato, hanno a lungo ostacolato la comprensione della sua opera e della sua figura. Mitomane, esibizionista, affabulatore finché si vuole, Malaparte non è stato il voltagabbana da manuale che abbandona una dopo l’altra le cause perse per correre incontro ai vincitori, quali che essi siano, con noncurante disinvoltura. Personalità irta di contraddizioni e di esigenze spesso in conflitto tra loro, è stato guidato, o dominato, in ogni scelta più dal suo temperamento che dagli eventi. La sua coerenza interna può non piacere alle anime belle, ma è indiscutibile, come lo è il suo coraggio. Un solitario “eroe (o antieroe) del nostro tempo”, che ha respirato l’aria mefitica delle ideologie totalitarie senza esserne intossicato e ha cercato di riproporre una visione dell’Uomo moderno ricalcata dai tragici greci che tanto amava, impasto di grandezza e cinismo, di ideali e servitù – in cui, da buon Narciso, rispecchiava se stesso (Maurizio Serra, dal catalogo della mostra “Malaparte. Arcitaliano nel mondo).
Nel 2011 il libro ha vinto il Premio Goncourt per le miglior biografia. |